Le aree rurali in Italia rappresentano oltre il 90% della superficie territoriale nazionale e contribuiscono alla formazione del valore aggiunto nazionale nella misura del 50% circa. Per l’individuazione di tali aree, nel Piano strategico nazionale (Psn) è stata adottata, in accordo con le Regioni, una metodologia di classificazione mutuata da quella OCSE, ma integrata con l’altimetria dei comuni e con l’estensione della superficie agricola territoriale dei capoluoghi di provincia, pervenendo alla definizione di tre tipologie di aree rurali e dei poli urbani.
La metodologia OCSE, infatti, essenzialmente basata sulla densità di popolazione e definita su base provinciale, è scarsamente rappresentativa della realtà italiana, caratterizzata da un territorio fortemente disomogeneo, non solo in termini di popolazione, anche all’interno di una stessa provincia. Sebbene vi siano alcune caratteristiche che accomunano le zone rurali, come, ad esempio, la scarsa densità di popolazione e la più ridotta accessibilità ai servizi, si evidenziano differenze notevoli tra le stesse, nel grado di sviluppo economico e nello standard di vita, legate anche alla distanza dai poli urbani. Il tessuto socio-economico delle aree rurali sta rapidamente evolvendo, in conseguenza di diversi aspetti, quali i rapidi cambiamenti dell’economia internazionale che si riflettono sul mondo rurale (in particolare globalizzazione e fenomeni migratori); i nuovi obiettivi dell’agricoltura non più finalizzata solo alla produzione, ma anche alla tutela dell’ambiente; i cambiamenti climatici e la crescente importanza delle bioenergie. Un contesto, quindi, fortemente mutevole, in cui i servizi giocano un ruolo chiave e le politiche devono adeguarsi, cercando di dare una risposta alle esigenze primarie dei territori rurali e sviluppandone le potenzialità, con il fine di una maggiore coesione socioeconomica tra le aree rurali e le aree urbane.