Sergio Lepri (Firenze, 24 settembre 1919-Roma, 20 gennaio 2022) è stato un giornalista e saggista italiano.
Nel 1945 entrò nella redazione del quotidiano La Nazione del popolo, organo del Comitato toscano di liberazione nazionale. Qui fece il praticantato e nel febbraio 1946 divenne giornalista professionista. Continuò a lavorare come redattore nel quotidiano fiorentino, che nel 1947 mutò testata nel «Mattino dell’Italia centrale», poi ancora nel 1954 divenne Giornale del Mattino. Sotto la direzione di Ettore Bernabei Lepri fu inviato speciale negli Stati Uniti e in Unione Sovietica e corrispondente da Parigi. Raggiunse la carica di redattore capo.
Nel 1956 fu nominato portavoce di Amintore Fanfani, segretario nazionale della Democrazia Cristiana, e nel 1958-59 capo del Servizio stampa della Presidenza del Consiglio con Fanfani presidente. Nel settembre 1960 fu assunto dall’agenzia giornalistica ANSA. Quattro mesi dopo era già condirettore responsabile. Fu direttore responsabile al gennaio 1962 al 15 gennaio 1990. All’agenzia creò negli anni 1970 l’archivio digitale delle notizie, il primo in Europa.
Dal 1988 al 2004 Sergio Lepri fu docente alla Luiss: insegnò Linguaggio dell’informazione e tecniche di scrittura nella Scuola superiore di giornalismo della Facoltà di Scienze politiche.
Sposato con Laura Tatò, ha avuto tre figli: i giornalisti Stefano, Paolo e Maria Maddalena.
Sergio Lepri pubblica la sua ultima fatica letteraria “la mia vita da giornalista” (2022) All around edizioni curato da Silvana Mazzocchi e l’introduzione di Giancarlo Tartaglia.
Sergio Lepri esce di scena, ma rimane la sua impronta determinante nel mondo del giornalismo italiano ed in una forma di cultura europea che lui stesso aveva contribuito a creare. Restano le idee e le parole sapienti, coraggiose che sapevano interrogare le cose nel profondo dischiudendo nuovi orizzonti di senso.
Gli anni trascorrevano, ma Sergio Lepri non invecchiava davvero, continuava a essere giovane nella curiosità del suo approccio al mondo, nell’audacia delle sue domande, nel suo modo di interrogare il presente. Ci lascia la profondità del suo sguardo e il suo approccio a tutti i grandi temi dell’esistenza.
Da questo libro si capisce come mai Sergio Lepri fosse sempre preparato, grazie ovviamente alle sue letture private così pregnanti ed educative. Si capisce da queste pagine che Lepri era un illuminista postmoderno, un razionalista contemporaneo. Così come si arguisce che Sergio Lepri avesse il coraggio e il merito di essere un pensatore indipendente e fuori dal coro, fuori dal gregge, pur non atteggiandosi mai a filosofo, evitando tecnicismi e sofisticherie troppo astruse. Non era una sua colpa quella di fare opinione, anche se lui sosteneva che l’opinione pubblica fosse morta da tempo o quantomeno in tempi recenti non più pervenuta.
“La mia vita da giornalista”, quindi, va letto perché tutti possono leggerlo, perché non è di difficile comprensione, ma soprattutto perché ha raccontato e commentato in modo molto arguto e onesto intellettualmente le vicende del nostro Paese. Non è cosa da poco, anzi è qualità assai rara e di questo gliene dobbiamo rendere atto.